COVID-19 e applicabilità della causa di Forza Maggiore nei contratti: ne parliamo con Arturo Leone

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Edoardo Lombardi

Counsel
Italia

Nel mio ruolo di counsel nei dipartimenti di Contenzioso e Commercial a Milano, assisto i clienti coinvolti a qualsivoglia titolo nel contenzioso civile e commerciale e nella negoziazione e stesura di accordi e transazioni prevalentemente nel mercato dell'energy e nei settori del trasporto pubblico e dello sport.

L'emergenza COVID-19 sta avendo un forte impatto sull'economia, sugli scambi e sui rapporti contrattuali. Il partner Arturo Leone risponde ad alcune delle più frequenti domande relative all'applicabilità della causa di forza maggiore nei contratti.

L’emergenza COVID-19 può impattare sul diritto dei contratti?

Si, in particolare se il debitore della prestazione si vede resa tale prestazione più difficoltosa o impossibile da eseguire o eccessivamente onerosa. Si è portati a dire che ci si trova in questi casi di fronte a una situazione di forza maggiore specie se questa è riconducibile, come sta avvenendo in questi giorni, a provvedimenti (factum principis) della Pubblica Autorità che possono incidere indirettamente anche sulle dinamiche dei rapporti fra privati.

È quindi possibile instaurare un automatismo fra la ricorrenza dell’evento oggetto di intervento della Pubblica Autorità e una forza maggiore idonea ad avere una concreta rilevanza nel contratto in termini di liberazione della propria prestazione e quindi di esenzione di responsabilità?

Diciamo subito che salvo provvedimenti autoritativi che si occupino espressamente di regolamentare questo aspetto non è possibile instaurare tale automatismo. È una valutazione che andrà effettuata caso per caso per accertare l’effettiva incidenza dell’evento o la portata quantitativa dello stesso sull’eseguibilità della prestazione stessa.

Qual è la normativa che disciplina tale casistica?

Il nostro sistema civilistico appresta il rimedio dell’estinzione dell’obbligazione nel caso di impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (art. 1257, 1° co., c.c.), escludendo la responsabilità per il ritardo nel caso di impossibilità temporanea salva l’estinzione se la perdurante impossibilità esclude un interesse del creditore all’esecuzione (art. 1257, 2° co., c.c.). Sul piano della risoluzione il sistema presta il rimedio dello scioglimento del contratto per impossibilità sopravvenuta totale o parziale con i conseguenti rimedi restitutori o di riduzione del prezzo a seconda dei casi (artt. 1463-1464 c.c.).

Discorso a parte è lo strumento della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, salva la normale alea del contratto, dovuta a eventi straordinari e imprevedibili al momento dell’assunzione del vincolo; chi la subisce può però evitarla offrendo una modifica equitativa delle condizioni divenute eccessivamente gravose (art. 1467 c.c.).

Da sottolineare che nel codice civile a parte un timido richiamo in materia di limiti di responsabilità dell'albergatore (art. 1785 c.c.) manca una definizione di forza maggiore che è lasciata in linea di massima alla qualificazione giurisprudenziale secondo cui per forza maggiore deve intendersi "un impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità (anche a titolo di colpa), inevitabilità ed imprevedibilità dell'evento" (Cass. Civ. n. 6213/2020; cfr anche Cass. n. 6076/2017; Cass. n. 13148/2016; n. 864/2016 e n. 25/2016).

Quali sono invece le fonti internazionali?

Nella contrattualistica internazionale rileva la Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita internazionali di merci (Convenzione di Vienna) che all’art. 79 sotto la rubrica Esonero prevede che "Una parte non è responsabile dell'inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”, precisando tuttavia rispettivamente ai successivi par 3 e 4 che … "3). L'esonero previsto dal presente articolo produce effetto per tutta la durata dell'impedimento. 4) La parte che non dà esecuzione al contratto, deve avvisare l'altra parte dell'impedimento e delle sue conseguenze sulla sua capacità di esecuzione. Se l'avviso non giunge a destinazione in un termine ragionevole a partire dal momento in cui la parte che non ha dato esecuzione era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell'impedimento, quest'ultima è tenuta a dare danni-interessi a causa della mancata ricezione”.

Altre fonti internazionali si occupano della clausola in questione riprendendo sostanzialmente gli stessi concetti, in tal senso la Camera di Commercio Internazionale ha emanato la ICC Force Major Clause 2003 (art. 1) e gli Unidroit Principles of International Contract (art. 7.1.7).

Sempre nella contrattualistica internazionale alla clausola di forza maggiore si affianca l’hardship clause che codifica in pratica le circostanze sopravvenute che possono portare a un eccessivo squilibrio delle prestazioni obbligando le parti a rimodulare l’assetto negoziale.

Sarebbe quindi possibile un'equiparazione del COVID-19 a un’impossibilità sopravvenuta della prestazione con effetti liberatori per il debitore?

In questo contesto, in assenza di disposizioni specifiche, come si diceva, non sarebbe corretta un’equiparazione del COVID-19 a un’impossibilità sopravvenuta della prestazione con effetti liberatori per il debitore; infatti, andrà sempre valutata l’effettiva incidenza causale dell’evento o del provvedimento autoritativo sull’esigibilità della prestazione.

Una valutazione complessa perché nell’ambito del principio di buona fede ispirato dal dovere costituzionale di solidarietà sociale rimane sempre vivo l’obbligo di protezione dell’interesse dell’altra parte se ciò non comporta un apprezzabile sacrificio; in termini concreti la parte colpita dall’evento giuridicamente infausto dovrà valutare, prima di invocare un esonero di responsabilità, se esistono effettivamente forme di adempimento alternative che rendono comunque possibile la prestazione.

Allo stesso tempo va anche considerato, che a seguito del provvedimento di chiusura delle attività commerciali di cui al DPCM dell'11 marzo 2020 (fatta eccezione per le attività relative alla vendita di beni di generi alimentari e di prima necessità, così come individuate nel decreto in questione) potrebbe configurarsi per il debitore una c.d. impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione di cui all'art. 1256 c.c.; e ciò in particolar modo nel caso di mancanza di incassi o di oggettiva difficoltà economica derivante da tale chiusura commerciale. Tale circostanza – laddove reale e provata – giustificherebbe il debitore del ritardo nell'adempimento della propria obbligazione contrattuale per il periodo per il quale ancora durerà l'emergenza sanitaria.

Si tratta comunque, come si diceva, di una valutazione caso per caso essendo quindi sconsigliabile l’assunzione di posizionamenti aziendali generalizzati ai fini di eventuali precontenziosi.

Come impattano tali avvenimenti nella contrattazione e, in tale contesto, quali sono le cautele che è opportuno applicare?

Si osserva che certamente la contrattazione in tempi di COVID-19 impone la cautela di inserire meccanismi di tutela per assicurare vincoli più flessibili o obblighi di rinegoziazione per le parti a seconda dell’evoluzione della situazione epidemica se non strade di way out, dal contratto, infatti la stipula di un contratto in piena consapevolezza di una pandemia in corso non consentirebbe in linea di massima poi di impugnarlo per forme di impossibilità sopravvenuta trattandosi a quel punto di evento di carattere prevedibile.

Il consiglio pratico è ispirarsi alle fonti internazionali citate modellandole a seconda delle proprie esigenze.

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